Il talco è stato classificato come “probabilmente cancerogeno” dall’IARC: ecco dove si trova ancora, come leggerlo nelle etichette e cosa aspettarsi dal 2026
In Italia come nel resto d’Europa, i controlli sui cosmetici sono severi, eppure un ingrediente comunissimo continua a sollevare dubbi e discussioni. Si tratta del talco, minerale molto usato in ciprie, ombretti, terre, blush e prodotti per bambini, oggi finito al centro di un confronto scientifico e normativo. L’IARC, l’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dedicata alla ricerca sul cancro, nel luglio 2024 ha classificato il talco come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, collocandolo nel Gruppo 2A. Una definizione che non riguarda solo il rischio storico di contaminazione con amianto, ma anche la possibilità che il talco stesso presenti proprietà nocive.
La questione è ora sul tavolo dell’ECHA, l’autorità europea per le sostanze chimiche, che ha proposto la classificazione del talco come sostanza cancerogena di categoria 1B. Una decisione definitiva, secondo le tempistiche attese, potrebbe arrivare tra l’inizio e la metà del 2026. Intanto, le aziende e i consumatori si muovono tra cautele, letture dell’INCI e alternative talc‑free sempre più diffuse negli scaffali.
Dove si trova ancora il talco e perché viene usato dall’industria cosmetica
Il talco compare con grande frequenza nei cosmetici in polvere perché assorbe l’umidità, migliora la stendibilità, dona una texture morbida e opacizza la pelle. Ecco perché da decenni è presente in ciprie, fondotinta compatti, terra, ombretto, blush, illuminanti, persino in prodotti per neonati e in alcune polveri per il corpo. Nonostante la crescente attenzione alla sicurezza, l’ingrediente è ancora molto comune. Basta aprire un beauty case in qualunque casa italiana per rendersene conto: in numerosi prodotti economici e di fascia media la parola “Talc” appare come primo ingrediente dell’INCI, segno che rappresenta la quota maggiore della formula.

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Marchi come Essence, Catrice, Debora, Revolution, Nyx, Benefit compaiono spesso nelle verifiche indipendenti dei consumatori, e lo stesso si osserva in blush compatti, palette nude molto diffuse e ciprie mattificanti. Un dato che non rappresenta un’irregolarità — è bene ricordarlo — poiché il talco è ancora legale in Europa. La questione, semmai, riguarda la valutazione in corso sul potenziale rischio e il dibattito aperto tra istituzioni sanitarie e industria.
Nonostante la lunga storia di utilizzo, alcune indagini internazionali hanno richiesto più trasparenza sui controlli alla fonte, soprattutto per scongiurare tracce di amianto nelle miniere da cui il talco viene estratto. Il punto è chiaro: anche se le normative europee impongono standard altissimi di purezza, la discussione scientifica non è conclusa e molte case cosmetiche stanno già lavorando a formule alternative. Il mercato, in parallelo, risponde: sempre più linee indicano con evidenza “talc‑free”, spesso sostituendo l’ingrediente con amido di mais o altre polveri minerali e vegetali.
Cosa aspettarsi dalle decisioni europee e come orientarsi oggi nelle scelte quotidiane
Le tempistiche istituzionali prevedono che tra 2025 e 2026 la Commissione Europea riceva il parere definitivo e valuti un eventuale divieto dell’uso del talco nei cosmetici. Le previsioni, al momento, indicano una possibile messa al bando entro la fine del 2027, con periodo di transizione per permettere alle aziende di modificare le formule.
Non è un processo immediato, ma rientra nella logica della regolamentazione europea: prima la valutazione scientifica, poi la decisione politica e infine l’adeguamento industriale. Nel frattempo, chi utilizza cosmetici ogni giorno può adottare misure pratiche e informate. Il primo passo resta la lettura dell’INCI, in cui il talco compare chiaramente come “Talc”.
Le categorie dove compare più spesso sono ciprie e blush, seguite da ombretti e illuminanti in polvere. Chi desidera evitarlo può orientarsi su prodotti talc‑free, ormai presenti anche nella grande distribuzione. Non a caso, molte aziende stanno già aggiornando cataloghi e formule, segnale di una trasformazione che anticipa la possibile normativa.
Un’altra abitudine utile riguarda la zona d’uso: come segnalano dermatologi e tossicologi, è sempre preferibile evitare applicazioni interne o mucose (regola valida per qualunque cosmetico in polvere). A chi sceglie alternative resta una considerazione pragmatica: non serve svuotare i cassetti, ma muoversi con criterio, soprattutto se si usano polveri cosmetiche ogni giorno e in aree sensibili.
La cosmesi moderna cambia rapidamente, e lo fa seguendo norme e dati scientifici. La partita sul talco è un esempio evidente: seguire le certificazioni, leggere le etichette, cercare trasparenza nelle aziende sono strumenti concreti per i consumatori. La domanda resta aperta, ma il mercato e gli organi di controllo si stanno già preparando allo scenario futuro. La sicurezza, nel settore beauty, passa ormai dalla chiarezza e dalla consapevolezza — non da allarmismi, ma da informazioni puntuali e verificabili.

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